Sab. Lug 27th, 2024

L’intervista a Beethoven nel nuovo progetto della 5D dell’Orazio Flacco di Portici: “Un’occasione mancata?”

“Due secoli e mezzo fa nasceva Ludwig Van Beethoven, eccelso compositore, uno dei più grandi di sempre insieme a Mozart. In un mondo che, proprio nell’anno di questo anniversario, è stato costretto a fermarsi a causa dell’emergenza Covid-19, le note dei suoi più famosi componimenti hanno continuato a risuonare nelle case e, forse, nei teatri vuoti. Questa emergenza ha impedito di celebrare migliaia di eventi e concerti lasciando nell’oblio una ricorrenza tanto importante. Grandi teatri come La Scala di Milano, il San Carlo di Napoli, la Fenice di Venezia, ma anche la Carnegie Hall di New York o il Theater an der Wien, sono stati costretti a rinviare i loro eventi.” I

 ragazzi della VD del liceo Quinto Orazio Flacco dedicano alla questione un loro nuovo progetto scolastico: “Un’occasione mancata?”.

L’obiettivo è quello di celebrare i 250 anni dalla scomparsa di uno dei più illustri geni della musica, tramite “un’intervista virtuale”, ipotizzando le risposte di Ludwig Van Beethoven alle loro curiose domande, che passano attraverso la musica, e al suo stretto legame con la filosofia, alla definizione del bello, fino a profonde riflessioni sul valore delle sue opere. In tempi come questi, dove i teatri hanno chiuso da tempo i battenti, e le incredibili note, colonne sonore della vita, cessano di essere suonate dagli artisti, dei ragazzi utilizzano l’ultimo mezzo rimasto a loro disposizione per viaggiare ed esplorare il mondo: la mente; alla fantasia, si sa, non c’è alcun limite (fortunatamente).

L’INTERVISTA

X: Maestro, alcuni biografi affermano che spesso suo padre mentiva sulla sua età in modo tale da presentarla come un enfant prodige, al pari di Mozart. Tuttavia questa affermazione è, ancora oggi, oggetto di dibattito. Potremmo chiederle di chiarire la faccenda?

BEETHOVEN: Mi perdonerà se la mia risposta non sarà del tutto esaustiva, ma vede, io ero solo un bambino e mio padre già mi introduceva alle corti e ai teatri della Renania tutta, da Bonn a Colonia, contesti in cui -complice anche la mia tenera età- l’unica preoccupazione era quella di dare il mio meglio e non certo badare a ciò che diceva mio padre. Per quanto concerne la mia data di nascita, non sono mai stato sicuro che quella riportata nei registri parrocchiali fosse quella autentica: questo perché, alcuni anni prima della mia nascita, vi fu un altro Ludwig van Beethoven che, tuttavia, morì prematuramente dopo sei giorni dalla nascita e quindi c’è la possibilità che la data di nascita attribuitami sia in realtà quella di mio fratello.  Parlando, invece, del ruolo che mio padre giocò nella mia formazione musicale, posso affermare che quest’ultima, a causa sua, non sia stata affatto lineare: infatti, mio padre mi affidò ad innumerevoli maestri, ma finiva sempre con il litigarci, poiché, a causa del suo carattere poco incline alle relazioni e alla sua dipendenza dall’alcool, spesso non condivideva i metodi di insegnamento e, pertanto, finivo con lo studiare, per un arco di tempo, senza la supervisione di un maestro, finché non ne avesse trovato un altro. Inoltre, frequentemente, mi costringeva ad alzarmi in tarda notte per suonare, oppure a suonare per intrattenere gli amici in modo tale da non perdere mai la mano.

X: Lei ha mai incontrato Mozart?

BEETHOVEN: Si, nonostante la differenza di età sia modesta tra noi, quando io mi approcciavo alla musica, Mozart già era diventato un grandissimo artista e – come molti giovani – tentai di entrare a far parte della sua scuola. Il nostro unico incontro è stato nell’aprile del 1787. Al tempo avevo sedici anni, lo ricordo come un uomo di grande presenza, elegante e con gli occhi grandi e malinconici. Mi diede un tema da sviluppare. Io mi sedetti e, emozionato ma al tempo stesso confuso, cominciai ad improvvisare. Alla fine di questo tema mi disse che la sinfonia che avevo suonato “era si molto graziosa, ma troppo meccanica”. Io rimasi in silenzio mentre i miei amici chiedevano al maestro una prova d’appello. Così mi indicò un nuovo tema alla fine del quale disse ai presenti di tenermi d’occhio in futuro poiché avevo qualcosa di degno da raccontare.

X: Maestro, nella sua vita si è spesso confrontato con diverse malattie e soprattutto con una precoce sordità…

BEETHOVEN: Era il 1796, quando venni a sapere della mia malattia. Inizialmente cercai di curarla in tutti i modi o quantomeno tentavo di evitare grossi peggioramenti, ma la sordità totale mi raggiunse nel 1820. In un primo momento mi isolai e più volte ho meditato il suicidio… Eppure questo mio disagio non fu compreso e fui accusato di avere un carattere difficile e poco propenso alle relazioni sociali. Tuttavia, volevo continuare a mostrarmi come un virtuoso di pianoforte e quindi continuai a comporre. Questa mia scelta si rivelò, in seguito, giusta, poiché proprio durante questi anni diedi vita a grandi composizioni come “La primavera”, o “Al chiaro di luna”, o ancora “La seconda sinfonia” e “Il concerto per pianoforte n°3”.

X: Queste che lei ha appena citato sono composizioni bellissime, ma cos’è il “bello” per lei?

BEETHOVEN: Poiché sono un musicista, per me l’idea suprema di bello è strettamente collegata alla musica.  Tra i linguaggi universali, quello della musica è indubbiamente uno dei più potenti, se non il più potente. Si può dire che la musica scaturisca da una determinata esperienza particolare come la descrizione di un paesaggio, l’espressione di un sentimento d’ amore, l’esternazione di un dramma esistenziale interiore,  ma trascende i limiti di queste esperienze particolari per esprimere qualcosa di più profondo che sta alla base di tante altre esperienze umane. È questo che la rende universale.

Come dice Kant, “il bello è ciò che piace universalmente e necessariamente, senza concetto”.  Oltre la musica – per me – il bello è anche connesso al concetto di arte che può essere intesa come qualcosa che crea forme necessarie per dar vita all’espressione di sentimenti. Nell’arte si crea un processo che oltrepassa ogni significato determinato. E la musica esprime ciò che non può essere costretto in parole. In questo modo la musica apre ad una dimensione più ampia, sconfinata…Il bello è quindi una “voce universale” che si sente dentro di sé come affine a quella di ogni altro e ciò rende questa esperienza universale.

X: Alla grande passione per la musica, lei ha aggiunto anche l’interesse per la  filosofia. Che rapporto c’è tra musica e filosofia?

BEETHOVEN: Credo che la musica abbia un fondamento filosofico. La musica è armonia, riflette l’universo e lo svela. La filosofia, in quanto conoscenza, è essa stessa svelamento. I Greci avevano sottolineato il valore formativo della musica nell’educazione dei giovani. E anche Platone, che svalutava l’arte, difendeva il valore della musica che considerava propedeutica alla filosofia. 

X: Maestro, la musica può aiutare a cogliere l’essenza della realtà?

BEETHOVEN: Sì, e qui mi avvicino molto al pensiero di Schopenhauer: la musica oltrepassa le idee, è del tutto indipendente anche dal mondo fenomenico, lo ignora, in un certo modo potrebbe continuare ad esistere anche se il mondo stesso cessasse di essere. La musica ci fa immergere nella pura contemplazione e, per un istante, ci liberiamo da ogni desiderio e preoccupazione. La musica è l’annullamento temporaneo della volontà e quindi del dolore, cosa che non si può dire delle altre arti. La musica è un’arte molto profonda, perché non esprime semplicemente un’ idea, ma costituisce l’essenza stessa del pensiero e dell’esistenza.

X: Quindi la musica non si riduce semplicemente al suono.

BEETHOVEN: Al suono si aggiungono il tempo e la memoria. Il tempo della musica non è quello della fisica. Quest’ultima distingue ogni attimo, ogni istante. In musica, non vi è distinzione tra passato e futuro, esiste solo un eterno presente. È un tempo che si dilata, dotato di memoria: ogni nota suonata non muore quando il pianista alza il dito da un tasto, ma resta nella nostra memoria e ci accompagna durante tutta la suonata. La musica diviene così un’occasione in cui presente e passato si combinano in una temporalità che è espressione dell’interiorità.

X: Ma dunque, quali sono le differenze tra sentire e capire la musica?

BEETHOVEN: È possibile approcciare alla musica in due modi differenti, la musica può essere semplicemente sentita o si può provare a capirla. La persona, che si limita a “sentire” la musica, ha un atteggiamento passivo nei suoi confronti, si lascia penetrare dall’armonia come se fosse una droga. Abbiamo assistito alle imprese di Napoleone, i suoi militari ad esempio erano motivati e tenuti sempre “sull’attenti” da canti patriottici che hanno proprio questo fine: è la funzione sociale della musica. Invece, cogliere la vera essenza della musica richiede un atteggiamento del tutto diverso. L’ascoltatore deve “capire ascoltando”, non solo sentire, poiché in tal caso correrebbe il rischio di lasciarsi andare alle fantasticherie.

 Capire la musica non significa cercare qualcosa nascosto dietro di essa, non si tratta di “interpretare” ma di attivare intelligenza e memoria, attentissime a cogliere e ricordare tutti i nessi e i rapporti che legano, secondo le regole dell’armonia, le labili apparizioni sonore delle note.

Questo particolare approccio, conduce l’ascoltatore ad una ricostruzione attiva, un cercare di “tenere testa” all’ondata di suoni dai quali si viene sommersi, riordinandoli e orientandosi tra essi secondo le leggi dell’armonia.

Questo metodo è valido per ogni tipo di musica, dalla più banale filastrocca alla mia Nona sinfonia, l’unica differenza è data dalle competenze dell’ascoltatore. Nonostante ciò, l’ascoltatore alle prime armi non deve scoraggiarsi, poiché ogni individuo è in grado, potenzialmente, di capire la musica come  è in grado, con l’esercizio, di capire la matematica.

X:  Secondo lei fino a che punto un artista è libero di esprimersi?

BEETHOVEN: Personalmente ritengo che, soprattutto per l’artista il quale svolge il ruolo di catalizzatore dei cambiamenti, delle “arie che tirano” all’interno della società -ed è per questo maggiormente esposto- la libertà di espressione sia imprescindibilmente legata al contesto socio-economico e politico nel quale si forma ed opera. Per quanto riguarda me, sono nato e cresciuto nella Bonn del monarca illuminato Giuseppe II, ovvero in quel periodo in cui in Renania iniziavano a circolare copiose le idee dell’Illuminismo razionalista ed era inevitabile che mi appassionassi a quegli ideali di libertà, di uguaglianza e di fratellanza tra gli uomini che ispirarono poi la Rivoluzione francese. Fu, però, nel ’92 -quando mi recai a Vienna, allora nel pieno della repressione antirivoluzionaria degli Asburgo – subite concretamente le restrizioni personali, che iniziai a comprendere realmente l’importanza di quei concetti e decisi di concentrare in musica anche le passioni che non era possibile trasfondere in politica. Ovviamente, questo fu solo l’inizio di un percorso di maturazione  di tali ideali che mi ha accompagnato per tutto il corso della vita e che ho voluto poi esprimere in musica attraverso la Nona Sinfonia, la quale è proprio un percorso graduale che guida – attraverso i tre movimenti – l’uomo alla gioia…

X: A proposito della Nona Sinfonia, è stata definita “Un capolavoro che ha cambiato per sempre la musica, un’opera con cui la sinfonia esce dalle corti imperiali per aprirsi al mondo”. Maestro ci racconti com’è nato questo suo capolavoro e qual è il messaggio che ha voluto trasmettere.

BEETHOVEN: Ad ispirarmi è stata l’“Ode Alla Gioia” di Friedrich Schiller, un poeta tedesco mio contemporaneo, un tributo alla fratellanza tra gli uomini; per quanto riguarda i sentimenti che ho voluto suscitare in questa sinfonia, voglio riprendere ciò che ho già detto in altre occasioni: “non c’è niente di più bello che distribuire felicità a molte persone”. La mia speranza è che queste parole possano, attraverso la mia musica, diventare reali. Ho scritto la Nona Sinfonia quando, ormai, avevo perso del tutto il mio udito, e quello che per me poteva rappresentare un ostacolo enorme, ho fatto in modo che si trasformasse in un punto di forza, donando un tocco di dolcezza e carica alla sinfonia. Essa intende rappresentare il mio testamento spirituale rivolto al mondo che deve ritrovare la sua anima, un messaggio all’umanità, un invito alla fratellanza universale.

X:Abbracciatevi, Moltitudini” recita un verso, tratto dall’ultimo movimento della Nona Sinfonia, e non è un caso che il celeberrimo ‘Inno alla Gioia’ sia stato adottato come Inno dell’Unione Europea.

Lei pensa che l’Europa di oggi rispecchi i principi che il suo componimento esprime?

BEETHOVEN: Ritengo che la scelta di adottare l’Inno alla Gioia sia una dichiarazione di intenti da parte dell’Unione Europea. Devo, però, constatare che sebbene storicamente siano stati fatti molti passi avanti, la strada verso l’armonia tra i popoli sia ancora lunga da percorrere. Il linguaggio universale della musica ci può condurre alla Gioia, sinonimo di libertà, pace e solidarietà: “la strada per l’Utopia la possiamo fare insieme!”.

Francesco Maddaluno

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1 commento su “L’intervista a Beethoven nel nuovo progetto della 5D dell’Orazio Flacco di Portici: “Un’occasione mancata?””
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