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La pandemia da Covid-19 iniziata nel gennaio del 2020 ha messo a dura prova la salute e la resistenza di miliardi persone. Da allora, si sono aggravate in modo considerevole le disuguaglianze e vi è stato un generale calo dell’occupazione. Ad essere colpite dalla pandemia in modo più violento sono le minoranze etniche, almeno secondo l’OMS: in Gran Bretagna durante la seconda ondata avevano una probabilità di morire di Covid cinque volte maggiore rispetto alla popolazione britannica bianca.

Tuttavia vi è uno dei danni più gravosi della pandemia il cui impatto viene sottovalutato ma che in realtà è devastante, tanto che alcuni esperti hanno parlato di sindemia.

Infatti uno degli aspetti più sottovalutati della pandemia è l’aumento delle patologie mentali.

Secondo una ricerca della University of Queensland pubblicata su The Lancet nel 2020 il disturbo depressivo maggiore ha aumentato la propria incidenza del 28% mentre i disturbi d’ansia sono aumentati del 26%. In Italia, secondo la Società Italiana di Psichiatria, questi disturbi mettono a rischio 1 italiano su 3, colpendo prevalentemente donne, vittime di violenza domestica e di un aumento del lavoro casalingo, e i giovani che subiscono da inizio pandemia la parziale o totale privazione dei normali rapporti sociali. Un’altra delle patologie mentali che si è più diffusa durante la pandemia è il disturbo da stress post-traumatico, una patologia che si sviluppa dopo l’esposizione ad un evento così traumatico da alterare l’equilibrio psichico. Si stima che addirittura il 96% dei sopravvissuti al Covid sperimenti sintomi legati a questo disturbo, in particolare modo chi ha necessitato di ventilazione meccanica. Già prima della pandemia i disturbi mentali erano la principale causa di perdita di anni di vita per morte nei paesi ad alto sviluppo economico. Quest’ultimo, infatti, ha portato benessere ma amplificato alcune caratteristiche delle società odierne come la competizione senza limiti e il perpetuo senso di inadeguatezza che il confronto con gli altri porta. Ciò unito al pericolo clinico e sociale che la pandemia ha portato ha amplificato molto l’incidenza dei disturbi mentali sulla popolazione. La pandemia ha infatti aggravato ancora di più l’aumento di disagi psichici creando uno stress senza precedenti sui servizi di psichiatria: in 9 regioni italiane si registra un aumento dell’84% di accessi al pronto soccorso a causa di patologie neuropsichiatriche. Un dato molto preoccupante è che i casi ideazione di progetti suicidari sono aumentati del 147% rispetto ai livelli pre-covid.

Nonostante i tentativi dell’Oms attraverso il programma Mental Health Atlas 2020, che ha monitorato i dati rispetto al Mental Health Action Plan 2013-2020 adottato da 194 paesi nell’Oms, gli obbiettivi non sono stati raggiunti. Nel report emerge anche un confronto tra la distribuzione di risorse destinate alla sanità mentale tra i paesi ricchi e i paesi a medio e basso reddito, nel report si evince come questi ultimi destinino una quota significativa di spesa rispetto ai paesi ad alto reddito. Nonostante i positivi incrementi sull’adozione di politiche per la salute da parte degli stati nazionali (+68 %) dal 2014 e di leggi specifiche (+51 %) le risorse umane e finanziarie stanziate rimangono nel complesso limitate (2,1 % la media globale della spesa sanitaria pubblica).

In Italia solo il 3,5% delle risorse viene destinato alla salute mentale e vi è l’assenza di disponibilità di personale specializzato (psicologi e psichiatri). Occorre superare lo stigma riguardo le malattie mentali che è la principale causa di emarginazione delle persone con disturbi psichici e rendere accessibile il supporto psicologico a tutti perché la salute mentale non è né un lusso né un capriccio, ma un diritto che viene ancora oggi sottovalutato.

Giorgio Pirozzi Raffaele Borrelli 

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