Con la scelta del nome Leone XIV, Robert Francis Prevost ha lanciato un messaggio chiaro fin dal primo istante: riportare al centro della Chiesa la giustizia sociale, il dialogo con il mondo moderno e l’attenzione agli ultimi. Il riferimento è chiaro: Leone XIII, il Papa della “Rerum Novarum”, a cui si ispira per il suo nuovo nome, è il fautore dell’enciclica che aprì la Chiesa al mondo del lavoro, dei diritti, della questione sociale. Ma quello di Papa Prevost non è un omaggio nostalgico: è una dichiarazione d’intenti.
Nato a Chicago il 14 settembre 1955, cresciuto in un ambiente profondamente cattolico e multiculturale, Papa Leone XIV vanta radici italiane, francesi e spagnole. Appassionato di tennis e di lettura, fin da giovane ha mostrato il desiderio di mettersi al servizio degli altri. A 22 anni è entrato negli agostiniani, e poco dopo è partito per il Perù, dove ha trascorso gran parte della sua vita come missionario e poi vescovo. Non solo un pastore tra la gente, ma anche un uomo capace di guidare, ascoltare e costruire ponti. Un vero “agostiniano”, con uno stile sobrio e diretto, che piace anche a chi teme gli strappi. Un uomo colto, con saldissime radici nella storia e nella tradizione della Chiesa, ma con una veduta che non si limita al presente e che mira al futuro.
La sua elezione arriva in un momento delicato per la Chiesa, segnata dalla morte di Papa Francesco e dalle tensioni interne tra visioni più conservatrici e spinte riformatrici. Ma Prevost è considerato da molti l’uomo giusto per tenere unito il mondo cattolico, senza rinunciare a parlare con forza su temi scomodi. Lo ha dimostrato appena tre mesi fa, quando ha criticato pubblicamente il vicepresidente USA, JD Vance, per le politiche anti-migranti.

Il suo percorso è una sintesi vivente tra Nord e Sud del mondo. Ha vissuto tra Chicago e le periferie del Perù, è stato un punto di riferimento per i migranti e gli emarginati, è molto stimato per il suo lavoro da prefetto fatto al Dicastero per i Vescovi, dove ha promosso una nuova generazione di pastori aperti, vicini alle persone, lontani da rigidità ideologiche. Questa carica gli è stata conferita dall’amatissimo Papa Francesco, suo predecessore, il 30 gennaio 2023.
Nel suo primo discorso dalla loggia di San Pietro, con occhi lucidi e voce ferma, ha preannunciato che il suo sarà un pontificato orientato all’ascolto e alla prossimità. “Mi sento sempre missionario” – ha detto più volte – e quella dimensione sembra destinata a restare al centro anche adesso, da Vescovo di Roma.
Leone XIV si presenta come un uomo del dialogo, della continuità nella riforma, del cambiamento, paziente ma determinato. Insomma, non è un rivoluzionario, ma neanche un conservatore. La sua Chiesa sarà probabilmente meno “politica” nei gesti e più quotidiana, capace di accompagnare, consolare, proporre.
La vera sfida, ora, sarà rendere la Chiesa più credibile, più vicina e meno autoreferenziale. Leone XIV sembra avere la calma e la fermezza necessarie per accompagnare la comunità cattolica in un tempo complesso, senza alzare muri. Un pontefice che conosce le periferie, ma non dimentica il centro. Che ascolta, ma non tace. Che crede che il Vangelo si giochi nella vita quotidiana, tra le mani di chi accoglie, protegge, lavora, spera. E forse, proprio da qui, può nascere un nuovo inizio.